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Trasformazione digitale: dove si trova oggi la tua azienda?

Trent’anni fa, precisamente il 6 agosto del 1991, veniva messo online il primo sito web al mondo , che ancora oggi possiamo vedere nella sua struttura rudimentale. Bisognerà tuttavia attendere il 1993 per assistere ad una decisione che modificherà per sempre la storia della rete: il CERN, su proposta dello scienziato informatico Tim Berners-Lee, decide di rendere pubblico il World Wide Web.

Da quel momento in poi il mondo diventa connesso e si fa protagonista di alcuni dei più importanti passi nel panorama di Internet: nel 1994 viene registrato il dominio di Yahoo!, nel 1998 nasce Google, il motore di ricerca oggi più utilizzato al mondo e nel 2004 si assiste alla nascita della piattaforma che inizialmente si chiamava TheFacebook. Queste rappresentano alcune delle tappe fondamentali che hanno dato il via al boom economico della rete e che hanno reso possibile il cambiamento verso il cambiamento che oggi tutti noi viviamo nelle nostre vite private e all’interno delle aziende. Proprio queste ultime, nel corso degli anni, hanno percepito ed iniziato a convivere con un moto di innovazione legato all’introduzione di soluzioni nuove, digitali, che interessano tutti i settori di un’azienda.

Quale trasformazione digitale?

Coloro che avevano già intrapreso il cammino verso la completa digitalizzazione hanno dovuto imparare a convivere con gli strumenti in Cloud e il rinnovamento delle tecnologie, attraverso piattaforme web-based; le realtà che invece erano ancora lontane dai processi di trasformazione digitale, hanno dovuto imparare a fare i conti con il profondo cambiamento interno all’azienda e a gestire le difficoltà di adozione degli strumenti da parte dei team.

Nel momento in cui tutte le aziende, qualsiasi sia stato il loro livello di digitalizzazione, si sono accorte dell’impellente necessità di cambiamento, ha avuto inizio la digital revolution.

Si parte dal marketing, che muta il suo focus indirizzandolo verso una maggiore attenzione alle esigenze del cliente e alla previsione dei cambiamenti imposti dal mercato, per poi passare all’organizzazione interna, che vede il passaggio alle infrastrutture in Cloud e il rinnovamento delle tecnologie, grazie al passaggio a piattaforme web-based. Questo processo di evoluzione dei modelli aziendali, basato sugli avanzamenti tecnologici capaci di migliorare i processi e non solo, prende il nome di Trasformazione Digitale.

Dare una definizione a questo concetto non è facile. In primis perché è un concetto legato al mondo digitale che, per sua stessa natura, è in continuo mutamento, in secondo luogo perché, come si accennava sopra, la trasformazione digitale ha un’incredibile pervasività, coinvolge ambiti diversi e questo ostacola la creazione di una sua definizione univoca.

Quel che è certo è che la trasformazione digitale è un viaggio che ha molteplici obiettivi connessi tra loro e con i quali è necessario intermediare a piccoli passi sia per ottenere notevoli benefici dal punto di vista metodologico, sia per raggiungere nuovi modelli di vantaggio competitivo. Adottare la digitalizzazione è infatti una strategia a lungo termine, di priorità assoluta al giorno d’oggi, che prevede una sostanziale trasformazione della cultura aziendale oltre che tecnologica.

Ma come hanno reagito le aziende agli effetti rivoluzionari della trasformazione digitale?

Gli accenni alla spinosa questione che abbiamo anticipato nel paragrafo precedente si sono concretizzati già nel 2015. Proprio in quell’anno infatti, con il Digital Business Global Executive Study and Research Project, il MIT Sloan Management Review e Deloitte furono in grado di rivelare quanto le aziende che desideravano reimmaginare digitalmente il proprio business tendessero a concentrarsi sull’integrazione di varie tecnologie digitali (social network, mobile, Analytics e Cloud), con l’obiettivo di trasformare il funzionamento delle loro attività e rendersi “mature”.

Viceversa, le imprese considerate “meno mature” ponevano maggiore attenzione alla risoluzione di problemi aziendali marginali, impiegando singole tecnologie digitali fini a se stesse, senza impiegare una chiara strategia digitale o una leadership pronta a guidare la trasformazione.

Non solo: secondo le indagini condotte dal MIT Sloan Management Review e Deloitte, le organizzazioni digitalmente mature apparivano più a loro agio nell’assumere rischi rispetto alle altre. Da quella ricerca emergevano quindi due categorie ben distinte e molto attuali: la prima, incentrata sull’integrazione di sistemi multipli con l’obiettivo di creare un sistema flessibile e la seconda, invece, puntualmente indietro e troppo impegnata a risolvere le singole problematiche prima di poter creare un sistema integrato.

Ma il divario tra le due categorie non si è rivelato una chimera dei primi anni, esiste purtroppo ancora oggi.

Come descrivono ISTAT Accenture, rispettivamente nei loro ultimi report “Imprese e ICT – Anno 2020” e “Scale Innovation and Achieve Value with Future Systems”, persiste un gap tra chi ha investito in soluzioni tecnologiche isolate senza consapevolezza né addetti esperti del settore ICT e una minoranza che ha invece da tempo pianificato un flusso continuo di innovazione, adottando una strategia sistematica. Questi ultimi vengono chiamati “Leader” e incrementano le loro entrate con un tasso più che doppio rispetto agli altri, denominati “Ritardatari”. Non si tratta ormai solo di collezionare nuovi strumenti tecnologici: le aziende Leader stabiliscono e mettono in sequenza le implementazioni in modo ottimale.

Parallelamente, sia le ricerche e le analisi condotte nell’ormai lontano 2015, che quelle del recente 2020, sottolineano che la fluidità della trasformazione digitale non risiede solo nella padronanza delle tecnologie ma presuppone soprattutto la capacità di articolare il valore delle tecnologie digitali per il futuro dell’organizzazione.

Seppur con diverse modalità, durante il periodo sopracitato (2015-2020) all’interno di Labnormal si osservava l’evidente differenza tra le società con una chiara visione sul futuro digitale e quelle che, al contrario, faticavano nel vedere le potenzialità della digitalizzazione.

Attraverso l’analisi delle soluzioni sviluppate, abbiamo rilevato come aziende più strutturate, anche grazie alla leadership dei dirigenti, si sono rivelate sempre più ‘Leader’, riuscendo a fornire chiari obiettivi di sviluppo e a garantire l’adozione delle soluzioni. Viceversa le aziende che assumevano un comportamento più incerto nei confronti della digitalizzazione, vestivano perfettamente i panni dei ‘Ritardatari’, riscontrando difficoltà nell’adozione di soluzioni digitali e nel successivo sviluppo di automatismi che permettessero di raggiungere una maggiore efficienza.

Significativo è il divario tra i “Leader” e i “Ritardatari, come significativa resta ancora la percentuale dei progetti di trasformazione digitale che falliscono. 

Il cambiamento che viene scelto, infatti, non porta sempre i risultati che l’azienda sperava. In uno studio pubblicato sul Performance Improvement Journal del 2002, possiamo constatare quanto l’adozione del solo cambiamento non porti sempre i risultati sperati: prendendo in considerazione tre situazioni di cambiamento in ambito Strategy Deployment, notiamo che il tasso medio di successo è del 58%; per il Technology Change del 40% e, infine, per la Business Expansion del 20%. Questi dati ci fanno capire quanto sia fondamentale creare a priori una corretta strategia di digitalizzazione, fondata sulle caratteristiche intrinseche dell’azienda e sugli obiettivi che vuole raggiungere.

Il cambiamento che viene scelto per essere attuato non porta sempre i risultati che l’azienda spera.

Secondo una rilevazione che Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano ha svolto insieme ad Assochange, su 179 aziende di grandi dimensioni in Italia, la percentuale dei progetti di digital transformation che falliscono viaggia ancora intorno al 62% (70% nel 2002, come riportato sopra). Lo scoglio principale resta il cambiamento culturale, ancora di difficile dell’attuazione, seguono il poco coinvolgimento del personale nell’impiego di nuovi modelli organizzativi e gli investimenti in organizzazioni poco incentrate sulla persona e sull’apprendimento continuo. Questi alcuni dei pilastri che fanno la differenza nelle aziende che registrano un maggiore tasso di successo.

Come viene sottolineato anche da Accenture nel report sopra citato, gli investimenti che i top manager stanno facendo/fanno non è sempre sinonimo/alla base di un totale sfruttamento del loro valore. La divisione tra il livello di avanzamento delle aziende, che Accenture chiama ‘Leader’ e ‘Ritardatari’, è ancora attualissima: mentre i primi si preparano a costruire gli scenari del futuro, i secondi arrancano nell’incomprensione delle logiche dei nuovi mercati e delle loro potenzialità.

La trasformazione digitale non è un percorso lineare, richiede una grande consapevolezza del processo e una conoscenza profonda degli obiettivi che si vogliono raggiungere, insieme agli elementi che l’azienda ha già a disposizione. Bisogna saper intrecciare gli obiettivi che si vogliono raggiungere, con gli elementi interni che l’azienda, ha già a disposizione.

Bisogna “connettere i punti”.